Se sei una persona che si preoccupa quello che vorrei dirti è che non sei la sola. Tutti ci preoccupiamo in maniera più meno intensa. La preoccupazione è un “pensiero che occupa la nostra mente” generando ansia, irrequietezza, tensione, problemi nel sonno, stress. Cerchiamo insieme di capire di cosa si tratta.
In Italia, secondo la ricerca ESEMed (2003), almeno l’1,9% della popolazione ha sofferto di ansia generalizzata nel corso della propria vita. In particolare il genere femminile intorno ai 30 anni di età ne soffre il doppio rispetto a quello maschile.
La preoccupazione è la principale componente di tutti i disturbi d’ansia e della depressione. Per questo motivo ci sembra opportuno osservare questo fenomeno ai fini della prevenzione e della promozione della nostra salute psicologica.
Esistono diversi tipi di preoccupazione, ognuno di noi ne può sperimentare una o più di queste nella propria vita (Leahy 2005):
- – essere rifiutati
- – rimanere da soli
- – sbagliare un esame
- – non apparire piacevoli
- – quello che pensano gli altri di noi
- – ammalarsi
- – cadere da una forte altezza
- – avere un incidente aereo
- – perdere i propri soldi
- – essere in ritardo
- – impazzire
- – avere pensieri e sensazioni strane
- – essere umiliati
Le preoccupazioni sono quindi accompagnate da pensieri sulle preoccupazioni stesse. Spesso possiamo dire a noi stessi che “sappiamo che stiamo prevedendo il peggio, ma non riusciamo a non farlo” oppure “anche se le persone mi dicono che tutto va bene io non riesco a smettere di preoccuparmi”.
Si arriva quindi a credere di non poter controllare i propri pensieri e che questo potrebbe essere un problema per la nostra salute psichica.
Da dove si origina?
Secondo le ricerche aver sperimentato nel proprio ambiente di crescita, storia di vita e di apprendimento dei traumi legati alla minaccia della propria salute fisica può concorrere nell’insorgenza di esperienze di preoccupazione (di vario genere) in età adulta. I modelli significativi in ambito familiare caratterizzati dalla preoccupazione e dall’iper-protezione spesso forniscono un condizionamento e un rinforzo all’uso di tali strategie (il mondo di fuori è pericoloso). In questi ambienti di crescita sembra esservi difficoltà nell’espressione delle emozioni e nel fornire un ambiente caldo e sicuro. In taluni casi i figli si ritrovano a fare i genitori dei propri genitori. Una perdita del genitore prima dei 16 anni di età e in generale un tipo di attaccamento con i familiari di tipo insicuro producono un ambiente di vita vissuto come rischioso e fonte di allarme.
Anche la vergogna è un tema molto significativo nel mantenimento della tendenza preoccuparsi. Quando sentiamo dire “cosa penseranno di te?” il messaggio che riceviamo è che quello che siamo o facciamo deve essere nascosto e non condiviso, poiché non sarebbe accettato.
Perché ci preoccupiamo?
Il motivo per il quale usiamo la preoccupazione è perché tale strategia sembra avere un senso per noi.
Possiamo credere che in questo modo troveremo una soluzione. In alcuni casi ci può sembrare che preoccuparsi consenta di non dimenticare le cose. In genere la preoccupazione ha lo scopo di anticipare e può diminuire la sensazione di arrivare impreparati agli eventi.
Una cosa abbastanza interessante è il significato socialmente accettabile che può trasmettere la preoccupazione: se mi preoccupo vuol dire che sono una persona responsabile e questo mi renderà apprezzabile dagli altri.
Le persone non desiderano preoccuparsi. Non è di certo il loro scopo principale. la preoccupazione è un mezzo per fronteggiare le situazioni che riteniamo pericolose, incerte, fuori controllo.
Il motivo per il quale ci preoccupiamo è perché crediamo che bisogna farlo:
- crediamo che la preoccupazione ci aiuti a risolvere i problemi
- crediamo che il mondo sia pericoloso e che non abbiamo le risorse per fronteggiarlo
- crediamo che la preoccupazione ci aiuti ad evitare di pensare alle conseguenze peggiori possibili di un evento
- crediamo che la preoccupazione ci tenga al sicuro dalle emozioni troppo forti
- crediamo che la preoccupazione contenga la nostra ansia
- crediamo di avere il controllo
- crediamo di essere più responsabili
- crediamo di ridurre le incertezze
- crediamo di controllare i pensieri e le emozioni
- crediamo di avere maggiore motivazione
Ma tutto questo davvero funziona?
La nostra mente non è abituata a falsificare (per chi vuole approfondire – Il falsificazionismo di K. Popper). Questo significa che siamo portati ad utilizzare le conoscenze che abbiamo appreso e non metterle in discussione facilmente. Tutto questo ha un senso “economico” per il cervello. Risparmiamo energia. Ma può essere una strategia che produce fallacia. In taluni casi infatti è necessario fare la raccolta delle informazioni per verificare o falsificare le nostre idee.
“Se sono certo che andare in bicicletta sia pericoloso, non tenterò mai di fare una prova. La preoccupazione è talmente forte da non consentirmi di sperimentare.”
In questo caso possiamo subito osservare come la preoccupazione, piuttosto che motivare la nostra intenzionalità, tenda a limitarla e a portarci a procrastinare le cose importanti.
Insomma la preoccupazione sembra produrre problemi invece che diminuirli!
Qualche riflessione in merito:
Sono certo che tutto questo sembrerà familiare a chi ha sperimentato la preoccupazione. Sicuramente avrete fatto del vostro meglio per provare a contrastarla. Ma non sempre ha funzionato. Talvolta quello che sembra ci possa aiutare è invece un qualcosa che mantiene il problema stesso.
Mi sento di evidenziare innanzitutto l’importanza di auto-osservarci:
I nostri pensieri non sempre sono chiari. Siamo poco abituati ad osservarli. Sono spesso veloci ed automatici.
Il primo passo è quello di tenere un piccolo diario e annotare quello che passa per la mente rispetto ad un problema che stiamo affrontando.
Noterete che dietro quell’insieme di dialoghi che albergano la nostra mente sono presenti delle piccole verità personali che guidano le nostre riflessioni (le nostre credenze).
Tutto questo per dire una seconda cosa importante:
Sì, è possibile imparare a farlo. Allenare la nostra mente a riconoscere i nostri pensieri, a gestirli e a renderli meno automatici. Possiamo imparare ad essere protagonisti, osservatori partecipanti attivi del nostro dialogo interiore.
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Riferimenti: Robert L. Leahy – “The Worry Cure” -2005 – Hachette Digital